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Data pubblicazione: 20/01/2006
Attenzione! Oggi non leggerete di tattiche, strategie e regolazioni. Leggerete di qualcosa di ben più importante e fondamentale per farvi vincere un campionato, una prova o solo farvi toccare terra sani e salvi. Quindi, che ci crediate o no, concentratevi e prendete appunti!
“Ciao favorito!”
Questa è la classica “gufata”, diventata molto di moda negli ultimi anni, che si sente abitualmente nel piazzale prima delle regate importanti. Sovente è pronunciata da uno dei favoriti, verso un altro dei favoriti.
Normalmente il bersaglio della gufata replica con altra gufata: “Ah no! Il vero favorito sei tu! Quante prove hai intenzione di vincere oggi? Quanti lati ci dai? Spero solo che tu abbia un po’ di pietà di noi. Non farci tutti uscire fuori tempo massimo!”
Il tutto accompagnato da indescrivibili gesti apotropaici.
Qualcuno giura di aver perso Campionati Italiani o Coppe Duca di Genova a causa di simili gufate.
“MA VERGOGNA!!!”
La superstizione esiste sin da quando l’uomo si è “imbarcato” su un tronco scavato e ha compreso che il mare può diventare un elemento ostile che impone rispetto ed evoca paure. Molte sono le superstizioni, i rituali e i taboo retaggio di epoche passate che il marinaio o il velista ancora osserva.
Ad esempio la celebrazione del varo di una nuova barca ha origini molto antiche. Mentre ai giorni nostri si è soliti infrangere una bottiglia di champagne sulla prua, nelle civiltà antiche la celebrazione era meno innocua.
Ifigenia, figlia di Agamennone, fu sacrificata ad Artemide per consentire alla navi degli Achei di salpare per Troia.
Così gli Argonauti offrirono sacrifici ad Apollo, quando la nave Argo (con la polena costruita con il legno di quercia sacro a Zeus), venne varata per il viaggio alla ricerca del vello d’oro.
Per i Greci libare agli dei era un rito arcaico da compiersi prima dell’inizio della navigazione. Il poeta Archiloco, prima dello scontro navale, invita i rematori a bere, a “togliere i coperchi degli orci capaci” e ad “attingere il vino rosso fino alla feccia”, a “servire in giro la coppa senza tregua, tra i banche della nave veloce”.
Sempre nella Grecia antica la chiglia delle nuove navi veniva bagnata prima del varo dal sangue degli schiavi obbligati in catene.
Per i Romani tagliarsi i capelli e le unghie quando il tempo era buono, era di cattivo augurio, così come starnutire salendo a bordo, bestemmiare e ballare.
I vichinghi sacrificavano agli dei i prigionieri, versando il loro sangue sulla coperta delle nuove navi.
L’odierna cerimonia del varo, innocua ed incruenta, è ancora carica di superstizioni. Molti velisti si sentirebbero male se la bottiglia non si infrangesse sulla prua al primo colpo ... prua di un barcone, non certo di una deriva, per il cui varo si preferisce bagnare la barca con qualche goccia e tracannarsi il resto della bottiglia!
Altre superstizioni? Universalmente diffuse.
Mai cambiare il nome della barca e mai partire il venerdì.
Si narra che Olivier de Kersuason differì al sabato la partenza per un suo tentativo di battere il record sul Trofeo Jules Verne, evitando di partire venerdì e ciò nonostante avesse il suo Geronimo pronto ed armato in banchina e le condizioni meteo fossero ottimali. Nonostante le precauzioni il record non fu battuto.
C’è chi, invece, del venerdì se ne infischiò. Jean Yves Terlain partecipò alla OSTAR del ’72 con una “barchetta” tre alberi di 128 piedi chiamata “Vendredi 13”. Comunque non vinse.
Per noi Italiani, superstiziosi più di altri popoli, anche martedì può procurare problemi.
A proposito della credenza che cambiare il nome alla barca sia catastrofico, i Francesi concordano, sebbene ammettano una significativa eccezione. Solo il 15 agosto è possibile dare un nuovo nome alla propria barca, seguendo però scrupolosamente un rigoroso rituale. La barca ribattezzata deve veleggiare di bolina, compiendo una serie di brevi virate, disegnando così un percorso a zigzag. Poi deve poggiare e scendere in poppa piena. Il motivo di un simile rituale? Il percorso rappresenta un serpente che si mangia la coda! Ovviamente è d’obbligo aggiungere la benedizione del prete. Guai a lui, però, se mette un piede sulla barca!
Secondo molte culture fischiare al mare è segno di sventura. Gli Inglesi credono che fischiare e grattare l’albero porti vento quando c’è calma. Questa è la regola generale, che però si tramuta in severo divieto quando si naviga a Sud della Manica.
Per i Francesi fischiare è ingannevole e un po’ pericoloso. Una canzone dei marinai dei tempi dei velieri con le vele quadre dice: “Siffle gabier, siffle pour appeler le vent, mais sitôt la brise venu, gabier ne siffle plus!” Fischia gabbiere, fischia perchè venga il vento, ma quando il vento è arrivato, non fischiare più!
Sempre i Francesi hanno un antico detto, forse obsoleto, ma degno di menzione, utilizzato sulle navi a vela dei secoli scorsi, quando esse incontravano per parecchi giorni venti in prua: “"Vent debout, vent debout sans fin, qui n'a pas payé sa catin?”. Che può essere tradotto: “Vento in prua, vento in prua senza fine, chi non ha pagato la puttana?”. Il vento sfavorevole era considerato una punizione per i marinai provocata da qualcuno di loro che aveva lasciato il porto senza aver pagato il conto del bordello. E' noto che i marinai, arrivati a terra da un lungo viaggio, spendevano tutta la loro paga (e anche più) in alcol e donne di malaffare, prima di imbarcarsi (o essere imbarcati con la forza) per un altro lungo viaggio per mare.
Per gli Spagnoli essere superati da un’altra barca porta male. Se questa credenza può essere un buono stimolo per non conceder nulla agli avversari in regata (o un invito a partire ultimi e a rimanere tali), potete immaginarvi le scene esilaranti tra le barche che entrano od escono dai marina spagnoli.
Altre curiosità?
Mai parlare di conigli su una barca francese, verreste scaraventati in acqua, come ha rischiato di finire un Australiano imbarcato sul catamarano Orange. L’origine di questa superstizione non è chiara, fatto sta che su una barca francese non troverete né cibo, né libri, né immagini che richiamano anche lontanamente il coniglio.
Mai portare banane su una barca inglese. E’ come per noi salire con un ombrello.
Mai parlare di Vito Dumas o portare un suo libro su una barca spagnola. Il viaggio attorno al mondo di Dumas, in solitario e contro i venti dominanti, è costituito da una sequela di disastri orribili, storie di malnutrizione, fame, inedia, attacchi di balene, che ... è meglio non nominare.
Animali. Abbiamo detto dei conigli francesi.
Per le civiltà dell’antichità del Mediterraneo i delfini sono bene auguranti. Quando guizzano sulla prua indicano alla nave la rotta da seguire. Spesso venivano raffigurati sulla prua delle navi.
Il poeta greco Iponatte (noto per esser l’inventore del trimetro giambico scazonte o iponatteo), in un frammento, scaglia una feroce invettiva contro un pittore che aveva raffigurato un serpente (creatura infera), slanciarsi verso poppa, invece che verso prua: “Per il timoniere questo è cattivo augurio. E’ sfiga certa” – dice il poeta.
Nella tradizione (ormai politicamente scorretta), soprattutto francese ed italiana, le donne in barca portano male. Gli “studiosi” ritengono che la ragione di tale pregiudizio consista nell’opinione che ogni donna sia una strega e che le streghe portino tempeste ed altre sventure. Non così per gli Inglesi, almeno così pare. Nella Royal Navy dei tempi di Nelson non era raro che fossero imbarcate donne come passeggeri. Lady Hamilton fu ospite per lunghi periodi sull’ammiraglia del vincitore del Nilo.
I colori. In Italia una barca verde è portatrice di cattiva sorte. All’inizio il divieto riguardava l’abbigliamento. Mai indossare abiti verdi, forse perché il verde non si distingue dall’acqua di mare. Successivamente il divieto si è esteso al colore della barca. I “credenti” adducono l’esempio del Gatorade, quasi affondato nell’Oceano Australe, e tutti gli spi verdi di Paul Cayard esplosi a vantaggio di Prada.
Alcuni Americani ritengono che barca rossa non sia fortunata, forse pensando a Liberty che interruppe la “striscia” di vittorie più lunga del mondo dello sport.
Sul verde non tutti sono d’accordo. Dissentirà sicuramente uno degli snipisti italiani più vittoriosi. Dice di non essere né superstizioso, né scaramantico, ma sulla sua barca c’è sempre qualcosa di verde che ostenta orgoglioso, riesce a farsi assegnare per tutte le sue barche un numero velico che finisce sempre in “12” (avrete capito di chi si tratta), segue un preciso rituale nel vestirsi e nell’utilizzare sempre gli stessi vestiti (fino ad essere costretto, perché logori, a cambiarli).
A proposito di vestiti, è diffusa tra i regatanti la convinzione che indossare la maglietta omaggio della regata porti male; solo alla regata successiva si potrà, eventualmente, indossare quella maglietta.
Altre fobie dei regatanti moderni: mai tagliare la linea d’arrivo di una regata di prova; tapparsi le orecchie quando qualche amico (evidentemente non velista) augura “buona fortuna” o “buona regata”. Quest’ultima superstizione è diffusa solo in Italia, dove se qualche augurio deve proprio essere esternato, ci si deve limitare a un “in bocca al lupo” o, meglio, “in culo alla balena”
Questi sono taboo universalmente diffusi tra i velisti italiani. Altri ne aggiungono di ulteriori: evitare di scendere in acqua per primi, evitare di uscire in barca il giorno prima del campionato, mai indossare capi di abbigliamento mai utilizzati in regata (si devono allenare anche i vestiti), mai ricordare prima di una regata una tempesta in cui abbiamo subito danni.
Tante sono quindi le superstizioni e i rituali seguiti ancora oggi. Anche le più assurde e irragionevoli superstizioni ricordano al regatante moderno, come hanno ricordato al marinaio del passato, che l’uomo è fallibile e le barche sono fragili, offrendo un’inconscia e illusoria sicurezza contro l’ignoto e il futuro.
Detto questo, è rimasta sospesa la domanda iniziale: chi è il favorito per la prossima regata?


