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Data pubblicazione: 25/07/2007
Tradizione da recuperare
Mi è capitato di sfogliare alcune vecchie riviste di yachting. Scorrendo i risultati delle regate delle derive mi sono reso conto che, fino ai primi anni Ottanta, accanto al numero velico di ogni barca ne veniva riportato il nome, mentre oggi questo non avviene più. Allora mi sono chiesto se la perdita di quest’abitudine sia un progresso. Dopo una brevissima riflessione sono giunto alla conclusione che non lo è. Non lo è, innanzitutto, perché la barca non è un attrezzo da usare e gettare. Non lo è nemmeno – aggiungo – nel caso delle attuali derive in vetroresina e materiali affini, prodotte in serie. In fondo, ogni proprietario (la parola armatore mi fa sorridere perché penso ad Onassis) ci mette del suo, sotto forma di modifiche, centraggio e anima. La barca, insomma, merita un nome così come lo meritano i prodieri, le cui generalità sono talvolta ignorate da chi redige le classifiche, passate successivamente ai giornali. Sì, perfino la razza dei prodieri merita una certa considerazione… (Sindacato, sveglia!) Mi piacerebbe, insomma se si tornasse a riportare il numero velico seguito dal nome dell’imbarcazione e dalle generalità di entrambi i membri degli equipaggi, sottraendoci alla mala pianta dell’anonimato, mutuata dal mondo dei barconi sponsorizzati. Ancor più contento sarei qualora si tornasse alla corretta abitudine di nominare le persone per nome e cognome, non viceversa. Questo dovrebbe a mio avviso valere in occasione di tutte le premiazioni. Perché mai l’ottimo Paul Cayard resta sempre tale mentre al buon Mario Rossi tocca diventare Rossi Mario?
Roberto Perini - Chioggia


